Ezio Mauro si chiede su Repubblica.it (14 giugno 2011) se “ci voleva molto”, se “bisognava aspettare l’Economist” per “diagnosticare la malattia di questa destra, la sua anomalia”. “L’Italia della cultura – aggiunge – dei giornali, dell’estabishement, si è rifiutata di vedere e di capire”.

In realtà questo cancro (questo sì) della democrazia ha potuto svilupparsi, crescere e invadere tutto l’organismo della nazione per virulenza intrinseca ma anche e soprattutto per condizioni favorevoli dovute a sottovalutazione del male, ad acquiescenza, a conformismo, a interessi personali.

Quella Costituzione da tanti vituperata ha retto, tutto sommato, all’impatto garantendo le contromisure della salvezza. Ciò che non è stato all’altezza è stata proprio la “cultura”, apparsa non in grado di creare gli anticorpi necessari. Dobbiamo quindi ricrederci, ma non ce n’era bisogno, su questo aspetto. La cultura in sé, se non è accompagnata da coerenza personale, da dirittura morale, da consapevolezza etica, non basta a preservare la patria perché l’uomo segue innanzitutto le proprie pulsioni e i propri interessi.

State sicuri. Tutti quelli che hanno appoggiato, incoraggiato, osannato il capo, quelli che hanno introdotto presso di noi il “culto della personalità” (altro che comunisti!), quelli che per anni sono stati felici di raccogliere le briciole ai piedi della mensa del signore, e qualche volta anche le pedate, saranno i primi ad abbandonare il carro perdente, a crearsi una nuova verginità, ad atteggiarsi come i veri, inflessibili oppositori del male (sarebbe il caso di prenderne nota, prima che il tempo faccia dimenticare la loro servitù). Le avvisaglie già si vedono da un bel po’. Quelli che, invece, lo hanno veramente combattuto faranno la figura dei complici. E’ un dejà vu.