La morte del tifoso Ciro Esposito ha segnato un’altra tappa sulla strada della inciviltà sportiva, strada lastricata di lutti ricorrenti.
Si è detto e scritto in questi giorni che gli episodi di violenza devono far riflettere i responsabili del pianeta calcio. Un proposito, un imperativo, una necessità ripetuti ogni volta che si verifica un fatto drammatico dentro o fuori un campo di gioco. Tali eventi non hanno insegnato nulla fino ad oggi.
La morte di Ciro, come quella di tanti altri prima di lui, che da oggi cessa di essere un fatto pubblico (nel senso che non alimenta più le prime pagine) e rientra nell’ambito privato, rischia di essere presto dimenticata e di risultare inutile se dovesse suscitare sentimenti di vendetta o di pseudo giustizia. Viceversa (e la famiglia ha dato un segnale importante) essa si carica di significato se diventa il punto di partenza di una effettiva inversione di rotta, di un cambio di mentalità. Allora perché non farne occasione di riappacificazione tra due tifoserie e due città così vicine e così simili per affetto e attaccamento ai propri colori, per entusiasmo e folclore? Perché non dirsi noi e voi, ma anche gli altri, abbiamo i nostri morti (penso ad Antonio De Falchi, Giuseppe Plaitano, Vincenzo Paparelli, Stefano Furlan, Marco Fonghessi, Celestino Colombi, Vincenzo Spagnolo, Fabio Di Maio, Antonino Currò, Sergio Ercolano, Ermanno Licursi, Filippo Raciti, Gabriele Sandri, Matteo Bagnaresi ) e i nostri feriti a causa di una malintesa passione sportiva, da oggi in poi ci impegniamo ad onorarli con un gemellaggio, che sia l’inizio di un gemellaggio più generale fra tutte le tifoserie e fra tutti i colori?
Ecco, mi piacerebbe che qualcuno dei sostenitori delle due squadre oggi coinvolte esprimesse questo concetto e facesse questo appello. Sarebbe già una grande vittoria sulla morte.